Arte - Il caleidoscopio

Riflessi d’autore in una serata d’autunno: “La Libreria” di Varcaturo ospita Pino Zecca

La lettrice infingarda racconta

Ci sono frammenti, istanti, momenti, che restano indelebili nel nostro cuore. Ieri sera, nell’incantevole “La Libreria” della Dottoressa Livia De Maio Pironti, a Varcaturo, il tempo – con i suoi ingranaggi crudeli – si è fermato. Per un’ora, le volgarità e le vanità di questa fase storica che comprendiamo a fatica sono scomparse. Abbiamo parlato di cultura, di arte, di donne fiere e coraggiose, con cicatrici profonde ma ancora vive e orgogliose, proprio come piacciono a me. Soprattutto, abbiamo parlato di Napoli. Della sua storia millenaria, fatta di cadute e di mirabolanti rinascite. Oltre i pregiudizi e gli stereotipi. L’occasione è stata la presentazione del libro del mio amico scrittore Giuseppe Zecca, autore del poliedrico “La notte del solstizio”, un noir insolito e avvincente edito da Turisa.

Pino Zecca esplora nuovi sentieri, dopo “Frammenti – Pensieri tra realtà e immaginazione” e “Così sono fatti gli Angeli – Versi d’amore e altre storie”, dimostrando tutto il suo talento e un’ eccellente vena artistica.

“La notte del solstizio” prende il via in medias res, descrivendo i turbamenti di Adele, moglie umiliata in cerca di un riscatto. Per sé stessa e per il suo bambino autistico.

Un’opera che regala un ritratto inedito di Napoli, città inquieta e mai paga, e offre interessanti spunti di riflessione sulla storia millenaria di Partenope. Sin dall’antichità, ci ricorda Pino Zecca, il capoluogo campano è territorio ideale per lo sviluppo di importanti culti esoterici, come quelli legati alla Dea egiziana Iside, signora della vita e della morte e protettrice dei naviganti. Il suo culto cominciò ad avere grande diffusione, in epoca bizantina. Non a caso, i resti di un antico tempio dedicato ad Iside sono stati rinvenuti nei pressi della statua del dio Nilo, nel centro storico di Napoli.

L’autore riesce a cogliere, con uno stile immediato, le due anime di Partenope, quella legata al sole, al mare, alla gioia di vivere e l’altra, più oscura e malinconica, che danza sinistra attorno alla bocca degli Inferi, quel lago d’Averno, dove si concentrano le pagine più belle e misteriose del romanzo. Soprattutto, Pino Zecca delinea, bene, il profilo psicologico di quattro affascinanti donne, desiderose di “ri-definirsi”.

Adele, Elisabetta, Michela e Helèna fanno emergere aspetti diversi eppure complementari dell’animo femminile. Adele, per non deludere le aspettative degli altri, è precipitata in un incubo, Elisabetta, da psicologa, si prodiga costantemente per il prossimo e, nel farlo, mette a tacere un antico dolore, Michela si getta nel suo lavoro da poliziotta e indaga nelle vite altrui per non sentire dentro di sé il peso della solitudine, Helène balla e gioca con la seduzione per dimenticare i giorni tumultuosi della guerra a Sarajevo.

La violenza, in un certo senso, è il filo conduttore delle vicende. Un veleno che logora e annienta lentamente. Come purtroppo sanno bene molte donne, in un momento storico in cui non accenna a placarsi la piaga del femminicidio.

Allora, diventa fondamentale per “l’altra metà del cielo” fare squadra, come suggerisce questo libro.

“La notte del solstizio” parla anche di questo. E di voglia di ricominciare.

La data non è stata scelta a caso.

Secondo gli antichi Romani, il solstizio d’inverno annunciava la morte del Dio Sole e la sua imminente rinascita, una data fortemente evocativa che, come scrive Pino Zecca: “mi ha sempre affascinato. Forse perché si entra nella costellazione del Capricorno, un segno zodiacale a me caro, o forse perché, ipotesi più probabile la storia della mia città, secondo il filosofo Dicearco di Messina, inizia proprio all’alba del solstizio d’inverno.

Il villain del libro, Orazio Scaramozza, un “sedicente santone poco seducente” dai dubbi poteri malefici ma dalla sconfinata e pericolosa stupidità, è descritto con sapienti tocchi ironici.

Non manca, poi, lo spazio per una sorta di “divagazione lirica”, un divertissement – solo in apparenza tale – e che invece costituisce il marchio di fabbrica di questo indagatore dell’animo, prolifico e raffinato.

Il lettore verrà dunque stregato dal fascino terrifico del lago d’Averno e da una storia ricca di pathos, omaggio sentito alle luci e alle ombre della nostra splendida città.

Con uno stile semplice, immediato, che attraversa con un ritmo quasi musicale vari generi letterari, Pino Zecca esplora il mondo delle donne, le ferite di una città in continua evoluzione e ricorda a tutti noi che non c’è bisogno di evocare demoni o creature infernali perché – purtroppo – il male è davvero, come diceva Hannah Arendt, una cosa banale. E dannatamente umana. Eppure, malgrado tutto, è possibile trovare dentro di noi ancora un’irriducibile forza che profuma di speranza e che può sconfiggere le cattiverie di un mondo stupido e malato. E io sono orgogliosa di conoscere questo scrittore.

Si conclude così il mio “reportage letterario”. Una serata che è diventata viaggio nelle regioni più segrete del cuore e nella memoria personale. La presentazione mi ha dato, infatti, la possibilità di rivedere dopo tanti anni la mia amata e dolcissima zia Cristina Orso Aliberti. Ringrazio, anche a nome della casa editrice, la Dottoressa Angela Feluca per aver “prestato” la sua voce e aver coinvolto amabilmente il pubblico nell’ascolto di alcuni brani emblematici dell’opera e la Dottoressa Pina Panico Salemme per le foto. Un grazie, infine, doveroso e sentito alla Dottoressa Pironti che ha messo in questa deliziosa libreria, tutta sé stessa, donandole un’anima bella. E preziosa. Nel segno del suo glorioso cognome.

La Campania, per fortuna, è anche e soprattutto questo.

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Laureata in Conservazione dei Beni Culturali e in Storia, sono giornalista pubblicista dal 2012. Ho da sempre una passione smodata per l'arte, la letteratura, i fumetti, il Sol Levante e per i voli pindarici. Mi definisco una sognatrice razionale.