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L’enigma del Tempo e dell’Amore: il mito della Madre nell’opera di Michelangelo

Dal punto di vista simbolico e iconografico, la Madre racchiude in un’unica immagine efficace il mistero della vita e lʼenigma del Tempo.

 Se si pensa genericamente a quest’ultimo concetto, che da Eraclito in poi ha impegnato anche molta filosofia, siamo immediatamente assaliti e persino travolti dal ricordo delle persone che abbiamo amato e che non ci sono più.

Nella maternità, il singolo confluisce nell’immensità dell’infinito, e per un istante siamo indotti a dimenticare quella fine inevitabile che è parte del nostro comune Destino. La storia dell’arte è colma di Madri, ma la più potente resta sicuramente quella realizzata da Michelangelo.

Ammirata, venerata, vandalizzata: la Pietà è, fra i capolavori immortali dell’artista, l’opera che più ci induce a ragionare sulla valenza del Tempo, del Fato e dell’Amore.

Il contratto tra il committente, il cardinale de Bilhères – che vuole la scultura per la sua cappella funebre nella chiesa di Santa Petronilla – e l’artista è datato 27 agosto 1498. Ma lʼimpresa non nasce sotto i migliori auspici. L’antico mausoleo dedicato a Santa Petronilla è destinato a essere distrutto, per lasciare il posto  alla costruzione della nuova basilica voluta dal controverso, affascinante e coltissimo Giulio II, il Papa guerriero. Il gruppo scultoreo invece, continua la sua esistenza oltre il suo committente e oltre la storia del mausoleo.

L’episodio che offre lo spunto per la creazione del gruppo scultoreo è inconsueto tuttavia, tra i momenti della Passione di Cristo, questo ivi descritto è uno dei più sentiti e rappresentati dai pittori fiamminghi e dagli scultori del tardo Medioevo.

Il dolore è espresso principalmente dal capo reclinato della Madre, ed è una sofferenza trattenuta dalla consapevolezza di un proposito inevitabile ed eroico. La Vergine sorregge il proprio figlio morto con la mano destra, che non tocca direttamente il corpo nudo. Il braccio destro allungato e la mano distesa coinvolgono lo spettatore. Siamo quindi portati, immediatamente, a meditare sul sacrificio di Cristo, sulle tenebre che avvolgono il cuore umano e, malgrado tutto, sulla speranza di redenzione e di rinascita.

Nella Pietà di Michelangelo, da secoli, parla il mistero del volto di Maria di Nazareth.

Perché appare così giovane?

Quando l’opera viene svelata al pubblico, in molti la credono frutto di una magia o di un miracolo.

Gli uomini che parlano di fronte al gruppo scultoreo, in quel giorno di primavera dell’ultimo anno del Quattrocento, non sanno che il Genio che ha creato il prodigio è fra loro. Michelangelo ama mescolarsi alla gente, per ascoltare le loro impressioni.

“Credo con certezza sia un’opera di Cristoforo Solari”, afferma qualcuno. Quando sente questa frase, il ragazzo dai profondi occhi neri e tristi gli getta il martello che stringe nervosamente tra le mani e che scansa lo sventurato per poco. Si allontana in preda a un’ira irrefrenabile. Quella stessa notte, entra in Chiesa dalla sagrestia, con la chiave che ha a disposizione, e mettendo di nuovo mano al suo capolavoro vi incide sopra il suo nome. Sarà la prima e unica volta che Michelangelo firmerà una sua opera.

Ora nessuno può più sbagliare.

Ma resta l’altro mistero. Quello del volto, troppo giovane, di Maria.

Forse non lo sa neppure Michelangelo, che per tutta la vita ingaggerà un formidabile corpo a corpo con il mistero della morte e resurrezione.

Nei lunghi anni della sua esistenza, l’ineffabilità di Dio continuerà ad ossessionarlo, un enigma che simboleggia la sua ricerca spasmodica della quiete oltre l’inquietudine fallace della carne; quella carne che vorrebbe partorire nuova vita, più feconda, liberarsi da sé stessa  per volare in  alto, per librarsi al di sopra delle sofferenze e delle ingiustizie, come sembrerà poi dire l’artista attraverso la creazione dei “Prigioni”. Perché ogni individuo è imprigionato nella propria materia, esattamente come lo sono le sculture.

E pur tuttavia, dentro quel blocco ostile – sia esso di marmo o di carne e sangue – vi siamo noi, nella nostra forma più vera e autentica. Nei secoli che verranno, molti sosteranno di aver risolto facilmente il quesito: Maria non è soggetta al tempo in quanto incorruttibile.

Le ragioni di quel volto sono molto più complesse.

Quando Maria è solo una ragazza, l’Arcangelo le si para di fronte con una notizia immensa. Lei, piena di grazia, benedetta tra le donne, ascolta quel messaggio rivoluzionario e prende una decisione. Accetta la scommessa, nonostante tutto. Perché avverte nel cuore il presagio del mistero della croce. Sa che quel figlio straordinario dovrà, per la redenzione del cosmo, soccombere e che lei assisterà impotente a quella morte.

“Tu non sei più vicina a Dio di noi, siamo lontani, tutti. Ma tu, tu sei la pianta”, dice l’Arcangelo a Maria, Vergine e Madre. Figlia del suo figlio.

“E sia”, risponde la fanciulla.

Michelangelo la raffigura così in quell’istante terribile e potente.

Ecco perché il suo volto è quello di una giovane ragazza. Per comprendere il mistero della Pietà, occorre comprendere sino in fondo l’istante della Nascita divina, la forza di una Donna che divenne Madre e  la scommessa contro la morte.

C’è rassegnazione nello sguardo e nell’atteggiamento di una ragazza che cerca di tenere in braccio il proprio figlio, che per un genitore è sempre senza età.

Ma il tempo, il grande Signore Oscuro, cammina verso e contro di noi, e avvolge nella sua notte ogni cosa. Cambiano i personaggi, ma la trama resta identica.

Il passato ed il futuro, allora, si incontrano, si intersecano inesorabilmente, è l’uroboro che si ripete sempre uguale a se stesso, l’alfa e l’omega.

Nella Pietà di Michelangelo c’è l’ebbrezza di quella coppa che siamo chiamati a bere; essa si concreta non nell’impeto sconsiderato ma nell’oscillazione dell’animo fra piacere e malinconia, momenti inseparabili e riconducibili a quel misto di speranza e timore che è aspetto, almeno dal punto di vista neoplatonico, fondamentale della condizione umana. Al tema del desiderio si contrappone così quello complementare del rimpianto. Il gesto della mano di Maria indica che la previsione si è avverata. E nel dramma, il presente viene escluso. Il dolore vero è assenza di tempo.

La modernità dell’opera di Michelangelo consiste nell’atteggiamento universale di Maria: non si tratta unicamente della Madre di Dio, ma è il simbolo di tutte le madri che perdono un figlio, dello scandalo della morte quando essa diventa fenomeno innaturale e prematuro.

É impossibile trovare un’altra opera artistica che riesca a sintetizzare tante situazioni diverse che potrebbero verificarsi nei momenti e nei modi più disparati, anche nelle nostre vite.

Il concetto di base che l’artista ha voluto comunicarci è quanto sia fragile il confine tra vita e morte e quanto nulla, neppure la tragedia più dolorosa, possa recidere nell’uomo un sentimento atavico come l’amore. E chi più di una Madre è consapevole di questo. Ma esistono molti modi per essere “madri”, e la storia dell’arte sembra volerci ricordare questo.

E nel momento in cui si compie una scelta straordinaria, come quella di mettere al mondo un figlio, o meglio, di occuparsi di un bambino, si è madri (e padri) per sempre. E poco importa cosa il destino abbia deciso di riservarci.

Perché, come diceva Oscar Wilde, l’amore è un mistero più grande della morte e la più imprevedibile delle scommesse, senza la quale, pur tuttavia, una vita non può essere definita e vana diventa la nostra fede.

La relatività ci ha dimostrato che il tempo non è unico, non è indipendente, non ha un presente condiviso, non ha una direzione. I fisici contemporanei, grazie ad Einstein, hanno rotto la struttura classica in cui gli istanti scorrono dal passato al futuro. Di fatto, non hanno viaggiato nel tempo ma hanno mostrato che mischiando la relatività generale con la meccanica quantistica si potrebbe ottenere una realtà temporale del tutto diversa da quella che conosciamo, una condizione in cui non si sa cosa viene prima e cosa dopo e dove tutto, pur tuttavia, sembra quasi continuare a fluire naturalmente per una strana formula che non sappiamo decifrare, ma che continua a sussurrare parole bellissime e pericolose al nostro cuore, l’organo più temibile.

La Storia dell’Arte lo ha capito ed è per questo che è disciplina immortale, anche quando è vituperata o messa in un angolo da una Pubblica Istruzione poco lungimirante. Rinnovando di continuo  il tema della Grande Madre, simbolo di un potere creativo, generativo e ri-generativo che è prerogativa della Donna, vero Demiurgo e primo Stregone per eccellenza, che incanta gli abitanti della caverna con i suoi Poteri immensi, che sono dentro e fuori la carne,  sin dalla notte dei tempi.

Michelangelo diventa, allora, l’artista di Lascaux. Nulla è cambiato. Il mito della Madre resta insondabile e strabiliante come un’icona bizantina e noi siamo ancora prigionieri di quella caverna, parlando alle fiamme e alle ombre, sognando un futuro che ci ha già travolto e superato.

È su questa consapevolezza che l’ Arte ha disegnato le sue strategie a volte contraddittorie, altre ancora paradossali, ma sempre vincenti.

Ai posteri, il compito di comprendere la lezione dei giorni che sono stati.

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Laureata in Conservazione dei Beni Culturali e in Storia, sono giornalista pubblicista dal 2012. Ho da sempre una passione smodata per l'arte, la letteratura, i fumetti, il Sol Levante e per i voli pindarici. Mi definisco una sognatrice razionale.