I racconti della kokeshi blu

Un tributo alle vittime del Covid-19

I racconti della kokeshi blu

A Bergamo, la morte nera

di Eleonora Belfiore

Era iniziato tutto con una tosse. Una banale tosse. Poco meno di uno stato influenzale.

Un raffreddamento dovuto all’incostanza dei tempi.

“L’inquinamento atmosferico è la causa di tutti i mali del mondo, non le sigarette! Prima o poi ci ammazzerà tutti”, era solito ripeterle Alfredo. Il suo grande amore, giunto nella sua vita troppo tardi. Come spesso avviene.

E dopo questa frase, si accedeva puntualmente una sigaretta. Per Maddalena, salutista nata, non era stato facile accettare di vivere con un fumatore. Tuttavia, non aveva mai tentato di cambiarlo, di imporre la sua visione del mondo, per quanto giusta fosse.

“Amare significa prendere il pacchetto completo. Non cambiare mai l’altro, per quanto possibile”, ripeteva sempre alle sue amiche.

Così, alla lunga, si era abituata alle nuvole di fumo e all’odore di tabacco in giro per il suo bilocale. Aveva persino iniziato a trovare sexy quello strano profumo sulla pelle del suo uomo, nelle notti di passione che condividevano con la stessa intensità della gioventù, nonostante la maturità dei loro anni.

Anzi, la loro esperienza di vita, la somma dei giorni trascorsi, nel bene e nel male, erano tutti elementi che donavano al loro rapporto una solidità mai sperimentata prima.

Anche sul piano fisico.

Era stata fortunata a incontrarlo dopo tanto dolore.

Nella vita non si poteva dare davvero nulla per scontato, persino nei momenti bui che sembravano non passare mai. Ogni istante era un dono prezioso. Una volta, Maddalena era stata ad un passo dal matrimonio. Aspettava un figlio dal suo compagno, Alberto. In passato, aveva avuto un paio di aborti spontanei. Giunta alla tredicesima settimana, si sentiva quasi al sicuro dalla maledizione che da anni la perseguitava. Infine, era accaduto. Aveva perso anche quel bambino. Sottoponendosi a ulteriori indagini, aveva scoperto che non poteva avere figli. Lo aveva persino disegnato, in uno dei suoi quaderni, quell’utero ostile ed egoista che non voleva accogliere nessuno. Si era ispirata alla sua artista preferita, Frida Kahlo.

Maddalena era brava nel disegno, però si limitava alle copie d’autore. Non aveva fiducia nel suo potenziale, incline – invece – ad ascoltare il giudizio, spesso ingannatore, altrui. La realtà le aveva imposto un lavoro più concreto, delle certezze a cui aggrapparsi per poter mettere il pane a tavola. Oltre che nel disegno, era ferrata anche in chimica. Così, aveva seguito il consiglio dei suoi genitori. Era diventata farmacista. Aveva lasciato la sua città di origine, Napoli, per trasferirsi prima a Milano e poi a Bergamo, dove ormai viveva da anni. Cose che succedono quando si cammina lungo percorsi accidentati. Eppure, non aveva mai rinunciato al suo sogno e i tratti di matita furtivi, nei ritagli di tempo, sembravano tenere a bada il demone della morte che si portava dentro.

Dopo l’aborto spontaneo, Alberto aveva deciso di lasciarla. Non aveva mai desiderato sposarla. E così, per superare il dolore di quell’abbandono e dei figli scivolati nel sangue, ogni notte si raccontava e raccontava al mondo la storia della farmacista allergica ai rapporti stabili, appassionata divoratrice di romanzi gialli e di lezioni di tango.

Proprio in una sala da ballo aveva conosciuto Alfredo. Due occhi azzurri e vivaci in un volto troppo allungato ma gradevole. Separato. Tre figli grandi, una marea di problemi personali. Una passione per la pittura, per i ritratti in particolar modo. Qualche premio artistico vinto, un vanto da aggiungere a quel curriculum che in pochi si degnavano, adesso, di leggere. Alfredo era riuscito a costruire una piccola impresa edile. Poi, la crisi del 2008 lo aveva costretto a ripartire da zero, come operaio. Si sentiva fortunato. Essere assunto alla sua età era un lusso – se così poteva essere definito – concesso a pochi. Sua moglie non aveva mai accettato quel ridimensionamento socio-economico e aveva trovato una scusa per lasciarlo.Non si erano mai capiti, erano estranei che si erano trovati simpatici una volta e avevano proseguito per trent’anni per paura di esplorare nuovi mondi. Quando vide Maddalena, Alfredo aveva sorriso. Quella donna malinconica gli ricordava bellezze di altri tempi.

Se solo fossero stati più giovani, pensò dʼistinto, mentre si avvicinava al tavolo di quella sconosciuta, incerto sul passo successivo. E senza accorgersene, aveva esclamato: “Ah, il tempo! É una vera canaglia!”.

Lei aveva sorriso. Non le chiese di ballare. Le fece una proposta, in un certo senso, più audace: quella di diventare la sua modella per un giorno. I suoi occhi verdi meritavano di essere ritratti.

Fu un vero colpo di fulmine, ma Alfredo sentiva il peso del giudizio della sua famiglia. Maddalena lo aveva spinto a non arrendersi, a non cedere ai capricci di quei ragazzi cresciuti che avevano ancora tutto il tempo per sbagliare e per innamorarsi una due, mille volte. Era un’ottimista e una gran testarda e credeva nella capacità della vita di adattarsi, di mettere ordine nel caos del cuore umano.

Così, dopo un paio di anni ballerini, convivevano stabilmente da quasi un anno. Lei lo aveva portato a Napoli, gli aveva fatto conoscere i suoi parenti. Avevano girato come due adolescenti spensierati per i vicoli del centro storico, fra le botteghe degli artigiani di presepi di San Gregorio Armeno. Avevano mangiato la pizza e avevano contemplato la bellezza unica al mondo del lungomare della città, catturati dal canto sibillino delle sirene del Golfo. Avevano visitato i più importanti musei della città. Perché a Napoli esisteva un mondo fatto di cultura millenaria e di incanto, troppo spesso denigrato. Maddalena voleva mostrare al suo compagno le mille sfumature della sua città. Alfredo era rimasto estasiato dalla Pinacoteca di Capodimonte. In particolar modo, aveva amato lʼarte tumultuosa e vibrante di Luca Giordano. Aveva ripreso a dipingere con maggiore slancio dopo il loro soggiorno napoletano.

Alfredo aveva organizzato quel viaggio soprattutto per concedere a Maddalena un po’ di tranquillità. Portarla lontano da Bergamo significava allontanarla dalle discussioni con i suoi figli, che non avevano mai accettato la presenza della farmacista nella sua vita. Alla fine, avevano raggiunto una sorta di equilibrio. Qualche volta, per dar modo al suo compagno di ospitare i ragazzi a casa, si trasferiva in albergo per un paio di giorni.Come il suo partner, aveva pochi amici e detestava chiedere aiuto o dare fastidio. I problemi li risolveva da sola. Da quando c’era Alfredo, per fortuna, gli affanni esistenziali le sembravano finalmente più gestibili.La loro vita insieme era scandita da piccoli rituali semplici.

Poi, era arrivata quella dannata tosse.

Non era un banale raffreddamento. Dalla Cina arrivavano informazioni incerte, confuse, dai contorni poco chiari. La gente stava morendo per colpa di un misterioso virus che colpiva le vie respiratorie. Lei lo aveva capito prima degli altri, ma nessuno sembrava darle retta. Maddalena, invece, da quelle prime notizie sussurrate a fine dicembre, aveva smesso di dormire sonni tranquilli. Dentro di lei sentiva che quel 2020 sarebbe stato foriero di sventura. E la comparsa di quella tosse sembrava dare forma ai suoi presentimenti. 

“Alfredo, devi farti vedere da un dottore!”, gli diceva di continuo. Ma neanche lui l’ascoltava. Sorrideva, le dava un bacio e continuava a ripeterle che tutto sarebbe andato bene. Dovevano concentrarsi sulla gara di ballo.

Era anche dimagrito. Da giorni, ripeteva di non avere fame, di non riuscire a distinguere gli odori a causa di quel brutto raffreddore!  

Infine, era successo. Come nei film horror. Un elemento estraneo alla narrazione mette in allerta il protagonista…

Maddalena ascoltava il notiziario locale in TV. I casi stavano aumentando anche in Italia. Quel dannato virus aveva un nome. Covid-19. In realtà più di un uno.

“Cosa nominata, cosa dominata.”, ripeteva la bella farmacista nella mente, come una nenia magica per darsi coraggio. Aveva paura. Il virus era subdolo, imprevedibile, non si fermava. Non morivano soltanto gli anziani. Tra i primi pazienti c’era stato un giovane. Tuttavia, la televisione passava da immagini di morte a quelle di insensata spensieratezza dei programmi più futili e allora Maddalena ritrovava un po’ di speranza. In fondo non potevano essere tutti così ciechi…

Forse davvero era una minaccia sovrastimata. La macchinetta del caffè fischiò, ricordandole che era arrivato il suo tempo. Prese una tazzina e ne lasciò una per il suo compagno Tornò in camera da letto per svegliare Alfredo. Doveva andare a lavoro, al cantiere. Non voleva mettere i colleghi in difficoltà, malgrado quella brutta tosse e i decimi di febbre. Lui aveva tanti anni di esperienza e aveva promesso al suo capo di aiutare le nuove leve.

 Lo chiamò due volte, ma lui non si mosse. Di solito, al primo richiamo, spalancava gli occhi già carico di energia. Era lei la pigra di casa!

Perché non si muoveva?

Maddalena cominciò a sentire le prime avvisaglie di panico. Avvicinò il viso al suo per cogliere quel respiro così familiare. Allungò una mano e gli sfiorò delicatamente la fronte. Scottava.

 “Non mi sento bene. Non respiro.”, le sussurrò. Furono le sue ultime parole. Il resto avvenne velocemente.

Avrebbe voluto tenergli la mano, dargli coraggio, ma il suo uomo le venne sottratto brutalmente, come un appestato di manzoniana memoria, tra lo sguardo preoccupato e leggermente accusatore dei vicini che spiavano, dall’uscio di casa, quello strano movimento di autoambulanze e paramedici dalle inquietanti tute fantascientifiche. Le analisi confermarono presto i suoi sospetti. Covid-19. Anche lei si era ammalata, anche se non aveva sintomi preoccupanti.Mentre il suo compagno lottava fra la vita e la morte, Maddalena fu sigillata, come una mummia, all’interno del suo appartamento. Una sua amica le lasciava il necessario per vivere. Comunicavano tramite cellulare, la porta era il limite da non varcare. Solo a sera inoltrata, al riparo dal giudizio della gente, sentendosi colpevole, Maddalena raccoglieva la sporta della spesa.

Agli occhi del mondo, lei e Alfredo erano i criminali, gli spietati untori. Imparò, sulla sua pelle, che le tragedie non rendono migliori gli individui.Qualcuno aveva le aveva persino lasciato un biglietto intimidatorio in una delle buste del supermercato. Maddalena avrebbe dovuto chiamare la polizia, denunciare il fatto, ma era così stanca…

Chiedeva in continuazione di Alfredo, ma i suoi figli le fecero notare che non era nessuno e che non doveva disturbare. Le notizie le giungevano frammentarie, caotiche, rubate da altri.

 ‘Sono soltanto una che dormiva accanto a un uomo che forse è diventato cadavere!’,rifletteva con sgomento nelle interminabili ore passate a guardare il soffitto. E rinnegava la sua signorilità.

 Avrebbe dovuto insistere affinché Alfredo accelerasse le pratiche del divorzio e sposasse lei, la signora Nessuno. Qualche volta provava a pregare, tuttavia, ad un certo punto, si era resa conto di non riuscire più a farlo. Allora, avvertì una profonda tristezza per la fine anche di quel mondo magico.  

Alfredo morì solo, lontano dalla sua famiglia, come aveva sempre temuto, forse con un sinistro presagio nel cuore.

La notte in cui lui volò via, qualcosa si spense definitivamente nel cuore di Maddalena.Solo un amico si degnò di farle una gelida telefonata due giorni dopo, quando il suo amore era diventato già un ricordo nella cenere. E così, si aggrappò all’idea di una morte imminente, bramata quasi con desiderio, per sopravvivere. Il Covid aveva scelto unʼaltra condanna, più sadica.Maddalena subì le umiliazioni dei figli e dei colleghi di Alfredo che si erano infettati per “colpa” del suo uomo, in quello stato di trasognato torpore che caratterizzò i giorni della sua quarantena. Mangiava pochissimo. Beveva anche di meno. Non si preoccupò troppo per la sua depressione. Doveva immergersi pienamente in quel dolore per poter tornare indietro, lo aveva letto da qualche parte.

E invece, senza armi e senza fede, si smarrì.

Un giorno si affacciò alla finestra. Era una bella giornata di aprile, con il tepore tipico di questo periodo, che annuncia le imminenti avventure estive. Nella sua testa vi era ancora il frastuono del mondo di prima, la reminiscenza dei sorrisi dei clienti della farmacia, ma la città era diversa. Era cambiata lei.

Nel nuovo mondo, non avrebbe ritrovato molte delle persone con cui aveva condiviso la sua quotidianità.

Era morta, ad esempio, quell’adorabile vecchietta, leggermente logorroica, che passava tutte le mattine in farmacia alla ricerca di una consulenza gratuita e di buona compagnia. Lasciò la finestra aperta e si sedette su letto, con le braccia incrociate sulle gambe piegate, in una postura vagamente artistica. E in quella sospensione metafisica immaginò il tempo che sarebbe venuto senza riuscire a dargli forma tangibile. Percorse ogni angolo della sua città con gli occhi della mente, ma non la riconobbe.

  Sarebbe tornata la vita di un tempo? Nessuno sapeva dirlo. Neppure i medici. Era una trappola senza via di uscita. Non tanto per le persone fuori, quanto per lei.

‘É troppo tardi’, pensò.

Non poteva scommettere sul futuro. Non aveva più la forza. Della solidità del suo vecchio universo era rimasto solo il profumo che le aveva regalato Alfredo qualche mese prima, quello che indossava e che spruzzava tutti i giorni su di sé come ultimo atto inconscio di una vita che si stava spegnando. Continuò a trascinarsi in giro per casa in quella sorta di spettrale intontimento. Rispondeva a monosillabi alle domande telefoniche dei colleghi e delle poche amiche con cui aveva intrattenuto un rapporto autentico. Marta, il suo angelo custode terreno, continuò a lasciarle la spesa. Maddalena la raccoglieva ancora di sera, al riparo da sguardi malevoli, ma lasciava intatti molti prodotti, destinati così a morire nel frigo e fra gli scaffali della dispensa. Compiva quelle azioni automaticamente.Dopo l’ennesimo tampone negativo che le restituiva la dignità di essere umano perfettamente integrato nel sistema, dispensò da quel compito la sua amica. Prese una lunga aspettativa. Chiese di non essere cercata. Spense il cellulare.

Trascurava tutto, ma si dedicava con maniacale attenzione alla cura del corpo perché sapeva bene quanto Alfredo ci tenesse. Continuò quel rituale antico. Nella sua testa, passato e futuro si toccavano e sembravano danzare con grazia sulle note di una musica sinistra.Indossava sempre la sottoveste rosa che lui amava tanto, si truccava, si spalmava la crema per il corpo alla mandorla, si sedeva sul letto e raccontava al cuscino che conservava ancora la forma della testa del suo uomo, o almeno così credeva lei, la sua giornata che somigliava fatalmente al giorno prima e a quello che sarebbe venuto.

Iniziò a inventare storie, episodi mai avvenuti, confondendo la realtà con la finzione. Non parlava mai, le labbra erano chiuse, serrate a causa di un dolore cresciuto negli anni, che non aveva trovato sfogo.

    Nelle giornate buone si lasciava cullare dai raggi del sole, così carico di promesse. Solo che lei aveva smesso di sognare. Infine si accorse, con terrore, di non mettere più a fuoco il volto del suo compagno.

 ‘Da quanto tempo sono qui?’, si chiese una mattina.

Quanto tempo era passato?

Non lo sapeva. Non sapeva più niente del mondo esterno. Conosceva soltanto la luce che entrava nell’appartamento di mattina. Non le piaceva più quel chiarore, eppure la costringeva a restare ancora lì, immobile. Come un fantasma, non riusciva a recedere il legame fatale con il mondo di prima. Quella luce – lei ne era consapevole nei suoi rari momenti di lucidità – stava recitando le battute di una commedia che si avviava al suo naturale, inevitabile epilogo. E in quella consapevolezza non vi era nessuna paura. Solo accettazione serena. Delle cose che erano state e di quelle che sarebbero giunte.Un vento dispettoso soffiò, un giorno, nella stanza. Lei ebbe un sussulto.

Che cosa le aveva bisbigliato quella brezza?

La promessa di un ritorno impossibile. Il demone supplicò di darle forma. Solo lei poteva! Soltanto lei poteva essere la sua genitrice! Maddalena accolse senza timore quella richiesta, che rientrava in un orizzonte più vasto, dove lei e le altre persone erano pedine di un gioco eterno, tessere di un mosaico enigmatico che rifiutava di essere compreso del tutto.Sospirò soddisfatta. Capì che non era stato vano quel dolore perché per tutto quel tempo aveva atteso il pittore che aveva giurato di renderla segno imperituro nel mondo, opera d’arte immortale.

Poteva già sentire il rumore delle chiavi nella serratura, i suoi passi…

Eccolo!

Stava arrivando. Era arrivato.

Finalmente.

                                                                         ***

La polizia mortuaria la trovò così: profumata e serena, con le labbra schiuse in un dolce sorriso.

Eleonora Belfiore

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Laureata in Conservazione dei Beni Culturali e in Storia, sono giornalista pubblicista dal 2012. Ho da sempre una passione smodata per l'arte, la letteratura, i fumetti, il Sol Levante e per i voli pindarici. Mi definisco una sognatrice razionale.